Il disegno di legge di riforma del Terzo Settore è stato approvato dal Senato lo scorso 30 marzo (ddl n.1870 “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale”).
Ora il testo ritornerà alla Camera dei Deputati per quella che, si spera, sarà l’approvazione finale dopo due anni di lavoro e confronto tra i Ministeri ed il variegato mondo del Terzo settore.
Cerchiamo di chiarirci le idee sui punti salienti della riforma, per capire come e quanto inciderà sulla vita delle organizzazioni non profit.
Per entrare nel merito delle questioni però bisognerà aspettare i decreti attuativi, che dovranno essere emanati entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge (cioè da quando il testo verrà approvato dalla Camera dei Deputati).
Era necessaria la riforma del Terzo settore?
Obiettivamente si. Dal 1998 in poi le normative di settore si sono moltiplicate, come anche la giurisprudenza (cioè le sentenze dei tribunali e delle commissioni tributarie).
Spesso capita che le sentenze si contraddicano perché interpretano le norme in maniera differente e questo crea molte perplessità sia alle organizzazioni non profit sia agli addetti ai lavori.
E’ anche vero che il Terzo settore è un mondo molto variegato e complesso: conta quasi 5 milioni di volontari, oltre 390mila organizzazioni censite dall’ISTAT, 800mila posti di lavoro, 12mila cooperative e imprese sociali con una media di 10-12 addetti, 8mila fondazioni di comunità e un giro d’affari di circa 74 miliardi di euro pari al 4% del PIL.
Gli stessi enti del Terzo settore da molti anni chiedevano di modificare le singole leggi che regolano le diverse tipologie di associazioni.
Da questo punto di vista, quindi, ben vengano la realizzazione di un Codice unico dove sia raccolta tutta la normativa e l’unificazione dei registri che oggi raccolgono le moltissime associazioni presenti nel nostro Paese.
I punti principali della riforma
Vale la pena notare che alcuni dei principi enunciati in questo disegno di legge in realtà sono già inclusi negli statuti di molte associazioni, specie quelle aderenti ad organizzazioni nazionali.
Vi sono poi nuove regole con le quali gli enti dovranno misurarsi.
I principali punti della riforma sono i seguenti:
- Definizione di Terzo settore: chi e come potrà rientrare in questa categoria. Per il legislatore dovrebbe essere più facile legiferare in maniera coerente e omogenea per tutte le tipologie associative che ci rientreranno (per esempio in materia di privacy, sicurezza sul lavoro e tariffe postali).
- Creazione di un Registro unico nazionale del Terzo settore: che prenderà il posto degli attuali registri nazionali.
- Riordino e revisione organica della disciplina: creazione di un codice del Terzo settore che contenga le disposizioni generali applicabili a tutti gli enti.
- Obblighi di trasparenza e controllo interno: disciplinare gli organi di controllo interno ed i meccanismi di informazione ai soci.
- Pubblicizzazione dei bilanci: sia tra i soci che all’esterno, in un’ottica di trasparenza e rendicontazione alla collettività dell’attività svolta, anche in relazione ad eventuali contributi pubblici ottenuti o raccolte fondi effettuate.
- Riordino della disciplina fiscale: semplificazione della normativa e istituzione di misure di supporto come alcuni strumenti di finanza sociale, agevolazione delle donazioni e facilitazione delle procedure di assegnazione di beni pubblici inutilizzati.
- Revisione 5×1000: revisione dei criteri di accreditamento, semplificazione delle procedure per l’erogazione dei contributi e introduzione dell’obbligo di pubblicità e trasparenza.
- Informazione, controllo e monitoraggio: l’Osservatorio nazionale per il volontariato e l’Osservatorio nazionale per l’associazionismo di promozione sociale confluiscono nel Consiglio nazionale del Terzo settore. Le funzioni di monitoraggio, vigilanza e controllo competono al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e alle reti associative di secondo livello.
- Creazione della Fondazione Italia Sociale: organismo con lo scopo di raccogliere fondi dal pubblico e dal privato per finanziare “interventi innovativi di enti di Terzo settore” non meglio precisati, salvo un accenno allo “sviluppo del microcredito e di altri strumenti di finanza sociale”.
- Possibilità di trasformazione: di norma da associazione a fondazione.
- Revisione della disciplina dell’impresa sociale: le finalità sono assimilate a quelle degli altri soggetti di Terzo settore, c’è una forte limitazione alla remunerazione del capitale sociale, sono ribaditi i requisiti di trasparenza e partecipazione. E’ automatica l’acquisizione della qualifica da parte delle cooperative sociali.
- Riforma del servizio civile nazionale: diventa servizio civile universale, quindi si apre ai cittadini stranieri regolarmente residenti da 18 a 28 anni di età (come già sancito dai TAR in alcune sentenze).
- Revisione della disciplina delle ONLUS: in particolare prevedendo una “migliore definizione delle attività istituzionali e di quelle connesse”. Sono ribaditi sia il vincolo di non prevalenza delle attività connesse sia il divieto di qualsiasi distribuzione di utili o di avanzi di gestione.
- Riforma dei Centri di Servizio per il Volontariato: possono essere gestiti non solo dalle organizzazioni di volontariato ma da tutti gli enti del terzo settore (sebbene negli organi di governo la maggioranza deve essere garantita al volontariato).
In conclusione
Al momento è impossibile avere un’idea chiara su come cambierà il mondo del Terzo settore dopo questa revisione normativa, perché saranno i decreti attuativi ad entrare nel merito e definire le nuove regole. Quindi è presto per dire se sarà effettivamente una riforma utile ed efficace.
Ben venga tutta la parte relativa alla trasparenza, che in verità potrebbe essere attuata subito dalle associazioni per guadagnarsi la fiducia dei cittadini – oltre che dei soci – e per porre le basi di future raccolte fondi strutturate e durature.
Le nostre perplessità coincidono con quelle di tutte le maggiori organizzazioni nazionali del Terzo settore:
- non si capisce bene perché sia stata creata la Fondazione Italia Sociale. Sembra una pericolosa invasione di campo di un soggetto para-pubblico perché non si capisce la necessità di un mediatore (che è anche catalizzatore di fondi) tra donatori privati e organizzazioni di Terzo settore.
- Resta la possibile sovrapposizione tra le imprese sociali (esistenti dal 2005) e le società benefit (disciplinate solo pochi mesi fa dalla legge di stabilità 2016).
- Bisognerà porre la massima attenzione nella stesura dei decreti attuativi e nella copertura finanziaria per i prossimi anni.
Naturalmente vi terremo informati sugli sviluppi.
Lavoro dentro e a fianco del mondo no profit da oltre 25 anni. Ho fondato e amministrato organizzazioni attive in campo sociale e culturale. Il mio obiettivo è aiutare le associazioni a lavorare meglio, a crescere in modo sostenibile e vantaggioso.